Di Fabio Caldera
Con la presentazione, a Bruxelles, il 30 aprile, del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), il Governo Draghi ha rispettato i tempi europei per poter accedere alle risorse di Next Generation EU, un piano di finanziamento straordinario che dovrà aiutare gli stati membri a ripartire dopo la crisi economico sociale prodotta dalla pandemia Covid-19. Ne parliamo con il segretario generale della Uila-Uil Stefano Mantegazza
D. Il Piano presentato ha centrato i punti essenziali?
R. Nel Piano c’è la traccia di un modello di sviluppo per il Paese, da costruire nei prossimi anni, sia per dare risposte alla crisi attuale che per risolvere alcuni problemi endemici, legati alle riforme strutturali che l’Europa ci chiede. Penso alla messa in sicurezza di sanità e scuola, alla riduzione dei tempi della giustizia; penso alla semplificazione in materia di burocrazia e appalti, alla riforma della PA e al “dialogo” tra le banche dati dei suoi tanti rivoli; penso infine alla riforma fiscale e a quella degli ammortizzatori sociali. Certamente, per fare tutto ciò non sarà sufficiente il solo PNRR ma se si aggiungono le altre risorse disponibili, come quelle del Fondo di Coesione Sociale (React EU), avremo a disposizione circa 261 miliardi.
D. Che non sono bruscolini…
R. Possono essere tanti o pochi, l’importante è spenderli bene. Tutto dipenderà dalle scelte sulle misure da attuare e dal tempo necessario a realizzarle. Ma attenzione! Ritengo che tutto ciò debba avvenire con un reale coinvolgimento delle parti sociali, in modo diverso da quanto è avvenuto fin ora, quando è mancato qualsiasi tipo di confronto.
D. Entriamo nel merito. Come dobbiamo spendere questi soldi?
R. In primis è fondamentale migliorare le infrastrutture e crearne di nuove, soprattutto nel Mezzogiorno. L’Italia è all’undicesimo posto tra i paesi UE per autostrade, aeroporti e reti ferroviarie e, sul piano digitale, le cose vanno anche peggio: solo il 4,4% della popolazione ha una connessione Internet a 100 Mbps (contro il 24% nell’Ue). Nelle aree rurali, in particolare, il problema è ancor più grave e la mancanza della banda larga limita la diffusione dell’agricoltura di precisione, disincentivando gli investimenti in digitalizzazione e nuove tecnologie che permetterebbero alle aziende agroalimentari di crescere ed essere più competitive. La Uila, in particolare, ha chiesto misure di sostegno ad hoc per le imprese che decidano di investire sulle nuove tecnologie, tutelando i lavoratori nei periodi di transizione e nella formazione per le nuove tecnologie.
D. Quindi cementificazione e 5G?
R. Assolutamente no! Le opere infrastrutturali devono essere sempre precedute da un’attenta valutazione d’impatto, che deve coinvolgere anche le popolazioni interessate, al fine di salvaguardare i terreni agricoli produttivi e l’ambiente. Una volta, però, appurata la sostenibilità di un’opera, questa deve essere realizzata in fretta, senza che nessuno si metta di traverso. Discorso a parte merita il tema delle energie rinnovabili che andrebbero sviluppate, in particolare rispetto agli obiettivi di produrre energia a “km 0” e/o finalizzata all’autosufficienza energetica.
D. Torniamo alle infrastrutture, un ottimo sistema per ridurre le distanze.
R. Solo le distanze fisiche. Il divario sociale dovrà essere colmato con altre misure specifiche. Per quanto riguarda il lavoro, ad esempio, alla proroga del blocco dei licenziamenti a tutto il 2021 va affiancata una riforma degli ammortizzatori sociali più inclusiva per garantire una copertura universale e di tipo assicurativo, meno burocratica, più veloce e, soprattutto, collegata alle politiche attive del lavoro, in particolare la formazione, che dovrebbe divenire un vero e proprio diritto-dovere.
D. Ma questo non è nel Piano!
R. Infatti, ma le considero come delle premesse necessarie per realizzarlo. Quando finirà il blocco dei licenziamenti sarà indispensabile aver già definito dei percorsi di riqualificazione professionale e di reinserimento dei lavoratori coinvolti attraverso il “Programma nazionale per la garanzia occupabilità dei lavoratori”. Inoltre, rafforzando il Fondo per le nuove competenze, si potrà incentivare la formazione in base alle effettive necessità aziendali e dei lavoratori, garantendo l’aggiornamento professionale richiesto.
D. La formazione deve essere punto centrale del Piano?
R. Assolutamente si. Serve un piano formativo “gigantesco”, sia per le persone già occupate che per quelle in cerca di lavoro. Senza questo piano formativo, l’agricoltore 5.0 rischia di trovarsi da solo a dover gestire centraline meteo e sensori per l’irrigazione e l’uso di fertilizzanti. È solo un esempio ma il rischio per il paese è di trovarsi con delle macchine “nuove e fiammanti” e scoprire che non ci sono né piloti, né meccanici capaci e in numero sufficiente. E ritrovarsi anche, per tragico paradosso, con una moltitudine di persone disoccupate, proprio perché manca loro la professionalità richiesta. In questa direzione, nel settore alimentare, il sindacato ha recentemente raggiunto un’intesa con le associazioni datoriali e il sistema degli istituti tecnici superiori (Its) per formare i giovani ai nuovi profili professionali e aggiornare quelli esistenti sulla base delle trasformazioni tecnologiche e digitali.
Inoltre, tra gli interventi di costruzione, riqualificazione e messa in sicurezza di nuovi edifici scolastici, va prevista anche la realizzazione di Agriasilo e di Fattorie Didattiche, un modo per incrementare l’occupazione favorendo la ripartenza delle aree interne e svantaggiate e concedendo contemporaneamente un’offerta diversificata.
D. Aree interne e svantaggiate, su cosa occorre puntare?
R. Il “Piano Nazionale Borghi”, una delle linee di investimento di “Turismo e Cultura 4.0”, dovrà necessariamente includere e coinvolgere le strutture agrituristiche e le filiere corte nate intorno alle produzioni locali di qualità; solo così si potranno rilanciare le aree interne e rurali, promuovendo l’occupazione e contrastando lo spopolamento. Lo stesso vale anche per le piccole comunità costiere che vanno rilanciate attraverso lo sviluppo delle attività di pescaturismo e ittiturismo.
Anche qui sarà fondamentale il ruolo, l’impegno e l’attenzione degli Enti territoriali nell’uso dei fondi e nella scelta dei progetti, insieme alla loro capacità di confrontarsi anche con il sindacato che intende dare il proprio contributo costante e pragmatico alla attuazione di questo rilancio.
D. E così abbiamo risolto anche le distanze sociali…
R. Ancora non basta. Le disuguaglianze sociali si devono contrastare anche attraverso una riforma complessiva del fisco che, tenendo fermi i principi di progressività e proporzionalità della tassazione, dia sollievo alle fasce di reddito medio-basso, incrementi i consumi interni e metta in moto un meccanismo virtuoso di redistribuzione della ricchezza.
D. Il PNRR sembra molto orientato verso la transizione Ecologica. È così?
R. Certamente e giustamente. Un antico detto degli indiani d’America recita: “La Terra non ci è stata lasciata in eredità dai nostri padri, ma ci è stata data in prestito dai nostri figli” È a loro, quindi, che dobbiamo lasciare un mondo migliore di come l’abbiamo ricevuto. La “Rivoluzione verde” coinvolge grandi temi come l’agricoltura sostenibile, l’economia circolare, la transizione energetica, la mobilità sostenibile, l’efficienza energetica, l’uso delle risorse idriche, la riduzione dell’inquinamento. Un universo di opportunità su cui occorre combinare innovazioni tecnologiche e capitali disponibili e che offrono condizioni favorevoli per gli investimenti e la possibilità di creare nuova occupazione.
D. In concreto cosa può significare per l’Italia?
R. Penso, per esempio, alla cura delle acque e del territorio. Nel quadro della “missione 2” del PNRR, l’ammodernamento del piano di invasi e della rete idrica, gestita dal sistema dei Consorzi di bonifica, potrebbe coniugarsi, nel quadro della transizione energetica, con la produzione di energia idroelettrica attraverso lo sfruttamento dei canali, da affidare a questi consorzi che già li gestiscono. Inoltre, gli interventi di manutenzione straordinaria previsti dal Piano dovrebbero estendersi anche al sistema irriguo. E per fare tutto questo, occorre valorizzare e potenziare il ruolo e le attività svolta dai Consorzi di Bonifica e dai lavoratori in essi occupati, incrementandone le piante organiche, stabilizzando il personale precario, limitando il ricorso agli appalti esterni.
Poi c’è il capitolo della produzione di energia rinnovabile da biomasse solide, una grande opportunità di transizione ecologica che può garantire nuova occupazione in questa filiera corta e costituire anche un’attività redditizia, attraverso la raccolta del cippato, che può integrarsi con l’azione di manutenzione dei boschi e controllo del territorio, svolta dagli operai forestali
Infine, in materia di tutela della salute, se consideriamo che il Covid 19 e tante altre epidemie degli anni passati hanno avuto un’origine animale, serve investire di più sui piani di sorveglianza, prevenzione sanitaria e miglioramento del benessere animale; per questo occorre, in particolare, rafforzare il presidio garantito dal sistema allevatori del nostro paese.
D. Mi pare che ci sia effettivamente molta agricoltura in questo Piano..
R. L’agricoltura è il comparto primario e motore di tutto il nostro benessere. Per questo tanta attenzione, ma forse non abbastanza.
D. Cosa manca?
R. Intanto andrebbe favorito l’inserimento dei giovani imprenditori nel mondo del lavoro, attraverso percorsi specifici volti al ricambio generazionale e a semplificare le relative modalità di accesso ai terreni agricoli. I recenti bandi Ismea vanno in questa direzione, prevedendo mutui a tasso zero per l’acquisto dei terreni degli “under” 41, manca ancora il raccordo effettivo tra l’acquisto della terra e il primo anno di raccolta.
D. Quindi poca attenzione ai giovani?
R. Sicuramente si e poi mancano delle misure strutturali per il welfare familiare e l’occupazione femminile. Ci sono degli interventi diretti a promuovere la parità di genere e lo sviluppo del lavoro femminile che rappresentano una buona base di partenza ma sono insufficienti a raggiungere l’obiettivo, almeno nel settore agroalimentare. A nostro parere, inoltre, occorre attuare, al più presto, le proposte del Family Act.
D. Altre grandi assenze?
R. Innanzitutto la pesca e tutti i temi legati alla Blue Economy, ai quali è riservato pochissimo spazio nel Piano, soprattutto rispetto alla necessità di accelerare la transizione ecologica della filiera ittica in un’ottica di sostenibilità non solo ambientale ma anche economica e sociale.
Nel nostro paese la filiera ittica rappresenta il secondo settore dell’economia del mare per numero di imprese e lavoratori e, dunque, siamo i più interessati a promuovere e sviluppare una pesca sostenibile preservando le risorse e, contemporaneamente, salvaguardando l’occupazione.
D. Quali sono le priorità per il comparto pesca?
R. Sicuramente il problema della modernizzazione della flotta, ma non solo. Bisogna modernizzare il sistema portuale per garantire la sicurezza del lavoro e consentire la riduzione dell’impatto ambientale dei motori delle imbarcazioni. Altro tema che mi sta molto a cuore è la necessità di introdurre un ammortizzatore sociale stabile, come la CISOA agricola, per la pesca professionale: i pescatori non devono essere costretti a uscire in mare con condizioni meteo-marine avverse, rischiando la vita per poche decine di euro. È poi giunto il momento di promuovere il ruolo dei pescatori nel recupero e nella raccolta dei rifiuti marini, prevedendo una premialità ai “Guardiani del mare” e attuando i centri di raccolta nei porti, in particolare riguardo alla plastica. Infine, è indispensabile valorizzare le produzioni ittiche nazionali, mediante contratti di filiera in grado di garantire la diffusione sul territorio delle produzioni “Made in Italy”, soprattutto presso la GDO.
D. Contratti di filiera?
R. Si, sono ormai uno dei principali strumenti di sostegno alle politiche agroindustriali che certificano produzioni attraverso sperimentazione e ricerca, garantiscono occupazione, impegnano la filiera per determinati periodi di tempo a fronte di prezzi stabiliti in anticipo. Così finalmente si potrà programmare e avere certezza su occupazione e impegni presi dalle aziende. Il Ministero per le politiche agricole ha stanziato 1,2 miliardi €, aggiuntivi al PNRR, per i contratti di filiera nei nostri settori. In questa area di intervento andrebbero individuate anche misure per una maggiore tutela dei marchi storici e per la valorizzazione del Made in Italy.
D. Alla fine torniamo sempre al lavoro etico. Ma il Piano parla solo di sostenibilità ambientale…
R. La sfida da vincere è proprio questa: conciliare la crescita economica e la creazione di nuovi posti di lavoro qualificati con la sostenibilità ambientale e sociale. Non è solo una scelta etica. Un cibo di ottima qualità, al giusto prezzo, prodotto nel rispetto dell’ambiente ma da lavoratori sfruttati e pagati in nero, avrà vita breve tra i consumatori del mondo post-pandemia. Ormai non è più solo una battaglia sindacale. Sono gli stessi consumatori che si informano e chiedono il rispetto dei contratti di lavoro. Siamo quindi amareggiati che la lotta al caporalato sia la grande assente del Piano. Il termine caporalato viene citato una sola volta in merito all’housing sociale. Non è affatto questa l’attenzione che merita un fenomeno che ha risvolti criminali e che coinvolge purtroppo un pezzo della nostra agricoltura. Servono soluzioni positive per rendere sempre più trasparente il mercato del lavoro agricolo, attraverso l’incontro tra domanda e offerta, il coinvolgimento delle Parti Sociali e dando piena attuazione alla Legge 199/2016, soprattutto definendo a livello locale un piano condiviso dei trasporti. Allo stesso modo, nell’ambito della revisione della Politica agricola comune (Pac) attualmente in corso, andrebbe inserita la clausola sulla condizionalità sociale degli aiuti alle imprese, che significa vincolare l’erogazione dei contributi comunitari al rispetto dei contratti collettivi di lavoro e delle leggi sociali. Le aziende virtuose devono poter emergere, devono essere aiutate e sostenute, attraverso una concorrenza leale e trasparente, il cui cardine deve essere il rispetto della persona e del lavoro.
D. A proposito di parti sociali, il sindacato cosa può fare ancora?
R. Il sindacato è, oggi, l’unica grande forza sociale, presente e fortemente radicata nel territorio, in grado di spiegare ai lavoratori il percorso complesso che il Paese si accinge a compiere e a rappresentare loro i sacrifici e le opportunità legate a questo percorso. Ribadisco che è indispensabile coinvolgere le Parti Sociali nel sistema di governance, sia a livello di coordinamento centrale, della cabina di regia per il PNRR, ma anche a livello territoriale per l’effettiva attuazione dei progetti, al fine di poter svolgere un ruolo di verifica e monitoraggio costante dei risultati raggiunti.