LAVORO ETICO
Norvegia chiama Italia, la Uila a Oslo al seminario IEH
di Fabrizio De Pascale
Si è svolto a Oslo, in Norvegia il 9 dicembre, un convegno, organizzato dalla iniziativa per il commercio etico norvegese (IEH), per presentare il rapporto conclusivo del progetto “Pomodori dall’Italia” che ha visto la Uila, insieme a Fai e Flai, impegnata a collaborare anche con le omologhe iniziative di Inghilterra e Danimarca costituite da associazioni, sindacati e aziende importatrici e distributrici di prodotti alimentari in quei paesi.
Il progetto venne lanciato nel 2013 (vedi il lavoro italiano agroalimentare, settembre 2013) sulla scia di una forte campagna mediatica in Norvegia e in Inghilterra che denunciava lo sfruttamento e le drammatiche condizioni di lavoro e di vita di cui erano vittime i lavoratori migranti, impegnati, in particolare, nella raccolta di pomodoro in Puglia.
Il seminario di Oslo, in realtà, ha allargato il suo orizzonte e il tema oggetto del convegno è stato “come contrastare lo sfruttamento del lavoro migrante nelle catene distributive europee”.
Numerosi i partecipanti all’iniziativa tra cui rappresentanti di due confederazioni sindacali norvegesi e di diverse realtà distributive (Coop Danimarca, Rema 1000, NorgesGruppen, Princes ltd).
Per la Uila ha partecipato Fabrizio De Pascale che in questi anni è stato il principale punto di riferimento del progetto in Italia. Presente anche una folta delegazione dell’Anicav, guidata dal direttore Giovanni De Angelis e composta dal responsabile delle relazioni sindacali Raffaella Capuano e da Viviana De Dilectis, responsabile delle relazioni esterne.
Come è noto, nel 2014, Anicav, insieme ad Aiipa e a Fai-Flai-Uila hanno sottoscritto un protocollo finalizzato a promuovere la responsabilità sociale nella filiera del pomodoro; un protocollo, frutto in parte anche della pressione esercitata dall’iniziativa norvegese, al quale importatori e distributori stranieri attribuiscono una grande importanza futura, quale strumento per rendere più “pulita e trasparente” da un punto di vista sociale, la catena di approvvigionamento dei prodotti italiani destinati verso quei paesi.
Di fatto è la prima volta, almeno nel settore agroalimentare, che una simile richiesta viene fatta da “buyers” stranieri. Per quanto riguarda il pomodoro trasformato si tratta di un volume complessivo di export verso Norvegia, Danimarca e Inghilterra pari a 347 milioni di dollari (dati 2014), il 17,5% dell’export italiano di pomodoro. Ancor più significative le quote nazionali di import di pomodoro italiano. Viene dall’Italia infatti, il 71,7% del pomodoro importato dalla Danimarca, il 60,2% di quello importato dall’Inghilterra e il 48,5% di quello che arriva in Norvegia. Da qui, l’attenzione e l’interesse di questi paesi verso il problema dello sfruttamento del lavoro irregolare in Italia perché, ha spiegato Bjart Pedersen di NorgesGruppen, il principale distributore norvegese che detiene il 40% del mercato alimentare norvegese “se non riusciamo a ottenere dei risultati tangibili su questo tema, da offrire ai nostri consumatori, saremo costretti a orientare i nostri acquisti verso altri mercati”.
Nel dibattito è stato anche evidenziato come, a fronte di un “sommerso” che genera complessivamente circa 1/3 del Pil agroalimentare italiano, la grande maggioranza delle aziende italiane sono “sane” e operano in piena legalità e nel rispetto dei contratti e delle leggi sociali. Il lavoro nero o irregolare non riguarda solo la filiera del pomodoro, i lavoratori migranti e il sud del paese. È un problema complesso che va affrontato con una strategia articolata: aumentando i controlli sulle aziende, rendendoli però più mirati su quelle che presentano dati sospetti (ad esempio il basso numero di giornate lavorative dichiarate per singoli lavoratori); offrendo un’alternativa al caporalato attraverso un nuova, più efficiente e trasparente, organizzazione del mercato del lavoro agricolo con il coinvolgimento diretto delle parti sociali; prevedendo un sistema di incentivi e premialità per le aziende virtuose che dimostrano di aver scelto la strada del “lavoro etico” e l’attribuzione di una certificazione in tal senso.
Grande interesse ha suscitato, quindi, la proposta di Fai-Flai-Uila sulla “rete del lavoro agricolo”, rispetto alla quale sono state fornite le più recenti informazioni riguardo l’iter del provvedimento adottato a metà novembre dal governo per introdurre modifiche al decreto Campolibero e nuove norme in materia penale contro il caporalato. Specificando però che, al momento, non c’è ancora nessuna certezza che tale provvedimento diventi legge dello stato.
il convegno si è concluso con una tavola rotonda, moderata dal direttore della IEH Per Bondevik che è servita per ribadire l’impegno futuro, da parte delle aziende che sostengono il progetto, a proseguire il lavoro di IEH.
Nel pomeriggio si è svolta, presso la sede di IEH, una riunione con i rappresentanti delle tre iniziative etiche e di due catene distributive danesi, alla quale ha partecipato anche la Uila, per discutere più in dettaglio i possibili sviluppi futuri del progetto. Tra gli obiettivi, seguire l’iter di approvazione delle nuove norme in materia e proseguire nel processo di progressiva responsabilizzazione delle aziende di trasformazione fornitrici e, attraverso di esse, anche di quelle agricole che forniscono loro il prodotto.
Un ultimo dato emerso dal seminario e relativo al Regno Unito, paese nel quale sono 900.000 i lavoratori del settore agro-alimentare, di cui il 30% sono stagionali e di questi il 90% sono lavoratori migranti.
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