L’EDITORIALE
L’astronomico debito mondiale e la “bolla finanziaria” cinese
di Stefano Mantegazza
Parecchi Stati, soprattutto europei, sono pieni di debiti, ma anche il mondo, e nel mondo le aziende, non scherzano. A fine 2014 l’indebitamento globale degli stati ha sfiorato i 200.000 miliardi di dollari, 57.000 più del 2007; quello delle imprese ha toccato i 50.000 miliardi e, secondo le più accreditate previsioni, tende a crescere quasi in progressione geometrica e supererà i 71.000 miliardi nel 2019. In particolare, il debito delle imprese cinesi, oggi pari a circa 16.0000, raggiungerà quota 28.000, pari al 40% dell’intero debito “corporate” mondiale.
Un economista di rango ha detto che le previsioni sull’economia sono attendibili, sempre che non riguardino il futuro; viene da aggiungere che le anche le stime sugli andamenti economici futuri sono affidabili, sempre che non diano dei numeri. Al di là di stime e previsioni, resta il fatto che un debito pubblico al cambio attuale di poco oltre i 300 miliardi di dollari e pari a circa il 180% del suo Pil, ha spinto la Grecia sull’orlo del fallimento, ha fatto traballare l’Unione Europea e incrinato la credibilità internazionale della sua moneta.
Vengono i brividi, perciò, a immaginare i guai che potrebbe riversare sulla Cina e sul resto del mondo l’eventuale “sofferenza” del debito delle aziende cinesi, al momento pari al 160% del Pil del Paese, ben superiore alla corrispondente media mondiale ed europea (83-85% del rispettivo Pil), il doppio del debito “corporate” americano e giapponese e, per restare tra i BRICS, tre volte più alto dei debiti delle imprese indiane.
È vero che la capacità dell’economia, mondiale o nazionale che sia, di pagare puntualmente gli interessi e rimborsare i prestiti alle scadenze stabilite conta assai più dell’ammontare in dollari del debito e del suo rapporto col Pil. A questi valori, però, è inevitabile chiedersi se e come le aziende cinesi riusciranno a onorare i loro debiti e rimborsare la valanga di obbligazioni collocata sul mercato non solo domestico, mentre l’economia della Cina, in crescita del 12% ancora nel 2010, quest’anno stenta a raggiungere il 7%. Perché, se l’economia cinese arranca, le imprese finiscono per passarsela anche peggio.
L’esplosione della “bolla finanziaria” che ha spinto in pochi giorni al ribasso del 30% le rampanti Borse di Shanghai, Shenzhen e Hong Kong, ha più che in proporzione ridotto il finora facile e abbondante accesso delle aziende cinesi al capitale di rischio, mentre le restrizioni monetarie imposte dal Governo e dalla Banca Centrale hanno ancor più ristretto le loro possibilità di ottenere credito bancario. E nemmeno è finita, perché il più che imponente debito “corporate” cinese è, per lo più, in dollari ed è stato contratto negli anni in cui il “quantitative easing” e i tassi di interesse praticamente a zero hanno a lungo depresso il corso della valuta statunitense.
La FED, però, ha già cominciato a ridurre l’offerta di moneta e ha appena annunciato l’intenzione di aumentare i suoi tassi di riferimento. Cosa che inevitabilmente, addirittura automaticamente, spingerà al rialzo il corso della valuta americana, rivalutando almeno di altrettanto i debiti in dollari, a cominciare da quelli delle imprese cinesi. Insomma, negli anni della crescita a due cifre, delle politiche accomodanti del credito e della “propensione di massa” all’investimento in azioni, il debito “corporate” cinese è aumentato a ritmi multipli rispetto all’indebitamento delle imprese del resto del mondo, fino a esserne la relativamente maggior parte.
Adesso, mentre in Cina le Borse crollano e il credito diventa più scarso e più caro, le indebitatissime aziende cinesi potrebbero avere, verosimilmente avranno grandi difficoltà a onorare, forse persino a rinnovare i loro debiti, accesi in dollari “deboli” e da restituire in dollari “forti”. Questi i contorni di massima della “bolla del debito” (grande molte migliaia di miliardi di dollari e di circa 7 volte superiore al debito pubblico cumulato di tutti i Paesi europei) che dalla Cina e dalle imprese cinesi potrebbe riversarsi sulla già non brillante economia mondiale. Una bolla pericolosamente vicina al punto di rottura, la cui deflagrazione investirebbe il sistema finanziario globale proprio sul confuso e contraddittorio crinale in cui la globalizzazione dell’economia reale e dei mercati si misura con le tante facce della finanza che cresce su sé stessa. Torneremo a occuparcene.