JOBS ACT
Le quattro principali novità della nuova disciplina
La prima novità introdotta dalla nuova disicplina riguarda i licenziamenti collettivi intimati in violazione dei criteri stabiliti dalla legge: l’art. 5 Legge n. 223/1991 dispone che, nella scelta dei lavoratori da licenziare, il datore tenga conto dell’anzianità di servizio, dei carichi di famiglia e delle esigenze tecnico-organizzative e produttive dell’impresa.
Con la vecchia normativa (ancora applicabile a chi sia stato assunto prima del 7 marzo 2015) i dipendenti licenziati selezionati violando i criteri legali, avevano diritto a essere reintegrati e risarciti. Il decreto legislativo n. 23/2015, invece, prevede che per questa violazione ai lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti spetti soltanto un risarcimento prestabilito (2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di anzianità di servizio). Purtroppo, nonostante le richieste espresse anche dalle Commissioni Lavoro di Camera e Senato, non è stata apportata alcuna modifica alla norma. È evidente che, in questo modo, la gestione di situazioni di esuberi di personale diventerà più complessa, soprattutto in relazione alla discriminazione che si verrà a creare nella stessa procedura tra lavoratori assunti ante riforma e lavori ai quali si applica il contratto a tutele crescenti.
La seconda riguarda il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (cosiddetto “economico”): viene eliminata la procedura di comunicazione preventiva alla Direzione Territoriale del Lavoro e non vi sono più ipotesi in cui è consentita la reintegra (neppure per il caso di manifesta insussistenza del motivo). Al lavoratore con contratto a tutele crescenti licenziato illegittimamente sarà corrisposta soltanto un’indennità risarcitoria.
Un’altra novità è che il decreto, sempre solo per gli assunti dopo il 7 marzo 2015, estende anche ai licenziamenti basati sulla inidoneità fisica o psichica del lavoratore la tutela prevista per i licenziamenti discriminatori (reintegrazione, risarcimento di minimo 5 mensilità e versamento dei contributi): questa è forse l’unica nota positiva, per cui si ampliano le garanzie.
Infine, in caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo (cd. “disciplinare”) illegittimo, il lavoratore con contratto a tutele crescenti avrà diritto a essere reintegrato solo se dimostrerà direttamente in giudizio l’insussitenza del fatto materiale: si inverte quindi l’onere della prova, (prima era a carico del datore), costringendo il lavoratore a dimostrare che quanto gli viene contestato in realtà non si è mai realizzato. È una prova molto difficile, che probabilmente serve a scoraggiare il lavoratore che intenda fare vertenza per questo motivo.
Si può dire, quindi, che il contratto a tutele crescenti peggiora notevolmente le tutele dei lavoratori in caso di licenziamenti illegittimi.