GIORNO PER GIORNO
Euro e dollaro, il valzer senza fine
Quando è nato l’euro, a gennaio del 1999, occorreva un dollaro e 20 centesimi per acquistarne uno. Dopo un anno o poco più, ne bastavano 80 centesimi di dollaro.
L’altalena è proseguita nei quindici anni successivi, fino alla scorsa primavera, quando, in cambio di un euro, si poteva avere un dollaro e 34 centesimi.
In altre parole, tra il 2000 e il 2014 l’euro si è rafforzato sul dollaro di circa il 40% ma, nel giro degli ultimi 12 mesi, ha perso i 3/4 dei guadagni di 14 anni.
Ciò vuol dire che le ragioni di cambio tra euro e dollaro hanno ballato, ballano e continueranno a ballare al non sempre prevedibile ritmo delle decisioni delle rispettive Banche Centrali e delle reazioni più o meno nervose dei mercati finanziari.
A seconda delle giravolte di dollaro e euro salgono o scendono le Borse e i tassi d’interesse, si distribuiscono alcuni fattori della produzione e si modificano vari comportamenti dell’economia.
Di volta in volta, l’euro forte ha favorito le esportazioni europee verso gli USA e il suo indebolimento ha reso alle imprese americane più facile e conveniente esportare in Europa.
Chi, Stato, azienda o privato cittadino, ha concesso crediti o acceso debiti in euro o dollari “forti” e li ha riscossi o pagati in valuta indebolita nell’un caso ha subito consistenti danni e nell’altro ne ha tratto rilevanti benefici.
Il petrolio, costi poco o molto, comunque si paga in dollari, quindi il suo prezzo reale cambia anche di molto per gli acquirenti europei se, con un solo euro, possono comperare più o meno di un dollaro.
Al momento, l’euro indebolito dal QE e dalle restrizioni monetarie della FED sembra assicurare soprattutto vantaggi agli Stati indebitati dell’eurozona e agli esportatori dall’Europa all’America.
Bisogna profittarne bene e presto, perché il balletto delle valute non è certo finito e al prossimo giro di valzer la musica potrebbe rapidamente cambiare.