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Caporalato, il Senato approva il Ddl 2217

2 Agosto 2016
in Lavoro
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CAPORALATO
Il Senato approva il Ddl 2217
Una vittoria per i lavoratori e il sindacato
di Stefano Mantegazza

L’approvazione da parte del Senato, a larga maggioranza (190 si, 32 astenuti) e senza voti contrari, del Ddl 2217 rappresenta un’importante vittoria, che il sindacato persegue da anni; una vittoria per tutti i lavoratori agricoli, per coloro che vedono costantemente violati i propri diritti, per le persone che sono morte vittime dello sfruttamento e del lavoro nero.
Un risultato reso possibile da un lato dalla grande e continua mobilitazione dei lavoratori, culminata nella manifestazione del 25 giugno a Bari alla quale hanno partecipato oltre 15.000 braccianti provenienti da tutta Italia; dall’altro dal forte e convinto impegno di molti senatori che hanno voluto dare forza alle richieste di Fai, Flai e Uila, recependo i nostri suggerimenti e approvando il testo prima della pausa estiva.
A loro va il nostro ringraziamento, così come alla presidente della camera dei deputati Laura Boldrini che, proprio in concomitanza con la discussione in Senato del Ddl 2217, ha pronunciato parole “forti e chiare” per denunciare la piaga sociale del lavoro nero in un paese civile e democratico come l’Italia e per chiedere “tolleranza zero” nei confronti di chi sfrutta e utilizza il caporalato.
E sempre alla presidente Boldrini va il nostro plauso per aver voluto convocare, il prossimo 13 settembre, Fai, Flai e Uila a discutere su questo tema, proprio in vista del dibattito parlamentare che dovrà portare all’approvazione definitiva del provvedimento.

Nel merito del testo approvato, il Ddl 2217 da un lato estende il reato di caporalato e ne inasprisce le pene; dall’altro rafforza la rete del lavoro agricolo di qualità.
Per quanto riguarda il versante “repressivo”, il Ddl riscrive l’articolo 603-bis del codice penale relativo all’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, introducendo sanzioni che vanno dalla reclusione da 1 a 6 anni e una multa da 500 a mille euro per ciascun lavoratore reclutato. La pena sale (carcere da 5 a 8 anni e multa da 1.000 a 2.000 euro per lavoratore) nel caso di minacce e violenze. Nel reato rientrano il reclutamento di manodopera da destinare a terzi in condizioni di sfruttamento, la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo difforme dai contratti, la violazione della normativa sull’orario di lavoro e in materia di sicurezza e igiene, condizioni di lavoro, alloggi e metodi di sorveglianza degradanti. Prevista anche la confisca obbligatoria dei beni, mentre la responsabilità si estende al datore di lavoro. Per evitare il blocco dell’attività può scattare il controllo giudiziario dell’azienda, affidata ad amministratori nominati dal giudice che affiancano l’imprenditore nella gestione. Infine vengono estese le finalità del «fondo antitratta» alle vittime del caporalato.
La scelta del Parlamento di modificare in questo modo l’art 603 del Codice Penale è molto importante perché introduce il principio della piena corresponsabilità tra il caporale e l’imprenditore; inoltre vengono meglio descritte (e quindi sarà più facile identificarle) quali sono le condizioni dello sfruttamento, punto che fino a oggi ha creato molti equivoci. Anche il controllo giudiziario sull’azienda sequestrata è una importante innovazione perché evita la chiusura dell’azienda e i danni per l’occupazione, così come è stata finalmente accolta una delle nostre richiesta centrali, la possibilità che le vittime dei caporali possano avere, grazie all’estensione del fondo antitratta, usufruire di indennizzi specifici.

Ma tutti questi aspetti di carattere repressivo, assolutamente importanti e condivisibili, non bastano nella lotta allo sfruttamento in agricoltura, che riguarda oltre 400 mila fra lavoratrici e lavoratori. Occorre anche trovare un sistema legale che possa garantire alle imprese, in maniera assolutamente trasparente, la manodopera necessaria per il tempo sufficiente e alle giuste condizioni. E qui interviene la seconda parte del Ddl che riprende la proposta del sindacato, nella definizione della quale la Uila ha fortemente contribuito, nella convinzione che nessuna repressione sarà mai sufficiente se non si costruisce un sistema alternativo per regolamentare domanda e offerta di manodopera.

Il Ddl approvato in Senato, infatti, rafforza la Rete del lavoro agricolo di qualità, introdotta nel decreto Campolibero e divenuta operativa il 1° settembre 2015. La Rete viene articolata in sezioni territoriali e la sua partecipazione estesa agli sportelli unici per l’immigrazione, alle istituzioni locali, ai centri per l’impiego e agli enti bilaterali.
Il radicamento sul territorio e il coinvolgimento di tutte le istituzioni e delle parti sociali è di fondamantale importanza. E sul territorio, per Confagricoltura, Coldiretti, Cia e Copagri da un lato, Fai, Flai e Uila dall’altro, sarà una sfida importante, non solo, in particolare, per garantire alle aziende che vogliono essere in regola con le leggi e contratti la manodopera necessaria, sia in termini di quantità che di qualità ma anche, più in generale, per mostrare che il sistema della bilateralità è vincente nell’affrontare i problemi.

Auspichiamo che anche alla camera il provvedimento possa venir approvato al più presto, magari utilizzando una “corsia preferenziale”. Continueremo, comunque, a insistere affinché la legislazione in materia giunga a prevedere un marchio etico e degli sgravi contributivi per quelle aziende che decidano di assumere manodopera attraverso la rete del lavoro.

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