CASSAZIONE PENALE
E’ estorsione la firma di contratti sotto ricatto
Integra il reato di estorsione la condotta di un datore di lavoro che impone ai lavoratori di firmare un contratto formalmente part-time ma che di fatto prevede una prestazione lavorativa maggiore, minacciandoli di non assumerli in caso di rifiuto della simulazione. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 18727 del 2016.
Nel caso di specie, l’imprenditore, mediante minaccia di licenziamento, aveva costretto i dipendenti ad accettare le condizioni lavorative loro imposte e a firmare una lettera di dimissioni in bianco. Ai lavoratori veniva inoltre da un lato fatta svolgere di fatto attività lavorativa quotidiana e a tempo pieno, pur risultando gli stessi assunti con un contratto a tempo parziale, e, dall’altro, venivano privati della possibilità di fruire di ferie, contributi e TFR, costringendoli ad accettare un compenso inferiore a quello che avrebbe dovuto essere loro erogato.
Secondo i giudici della Corte, al fine di verificare la sussistenza del reato nel caso concreto, si deve prendere in considerazione anche il contesto globale: il timore dei dipendenti, la complicata situazione del mercato del lavoro e i comportamenti “prevaricatori” del datore. Questi fattori, sempre secondo la sentenza, rendono evidente il fatto che i lavoratori accettavano tali condizioni non in maniera libera ma condizionata dalla reale possibilità di non trovare un’altra occupazione.
Questa situazione conferma anche un orientamento giurisprudenziale secondo cui si può configurare l’esistenza di un reato anche in presenza di un contratto regolarmente sottoscritto, perché anche uno strumento legittimo può essere utilizzato per scopi diversi da quelli che si dovrebbero perseguire.